Clémentine Chambon intervistata da Nodus
Design — Ago 22.2021Nodus collabora con i più famosi designer del mondo. Si tratta di creativi famosi per il loro stile e per la continua innovazione che sanno portare con le loro idee. Uno di questi artisti è Clémentine Chambon. L’abbiamo intervistata. Andiamo quindi a conoscerla meglio, per comprendere quali sono le sue idee sul design e quali sviluppi prevede per il futuro.
Come definiresti l’essenza o le caratteristiche primarie del tuo lavoro? Ogni designer ha un suo stile, i suoi caratteri distintivi… Quali sono i tuoi?
Il mio lavoro è costruito su un approccio che è sia molto artistico che molto tecnico, con un interesse pronunciato per la forma organica, la materia e la luce. La mia metodologia creativa si sviluppa attraverso fasi successive di sperimentazione del disegno e del volume su struttura, superficie, ornamento e tecnologia.
Sono per natura estremamente curiosa e sono regolarmente affascinata da nuovi temi che affronto da diversi anni con vari progetti e che si intrecciano l’un l’altro (per esempio: dal rattan alla carta, dalla carta alla luce, dalla luce al colore, dal colore alla pittura, dalla pittura al supporto ecc.).
Le produzioni risultanti toccano una grande varietà di campi di applicazione: giochi, mobili, tessuti, accessori, abbigliamento ecc.
Forse il tratto distintivo di queste creazioni è un’estetica che invoca una relazione sensoriale molto forte tra il fruitore e l’oggetto, e anche l’attenzione ai modi di produzione, la loro iscrizione in un contesto contemporaneo.
Quali sono le persone o le storie che ti hanno maggiormente influenzata nel tuo percorso lavorativo?
I miei genitori sono sempre stati molto sensibili al design e, appena hanno potuto, hanno creato una collezione di mobili di grandi produttori italiani. Mi hanno trasmesso questa passione per il design italiano. Sono cresciuta circondata dai mobili dei maestri, Gae Aulenti, Vico Magistretti, Michele De Lucchi, Giandomenico Belotti, Ettore Sottsass, i cui oggetti iconici erano i miei compagni di gioco.
Più tardi, durante i miei studi, ho incontrato il designer François Azambourg. La sua pratica di sperimentare con i materiali mi ha particolarmente interessata.
Tra il 2003 e il 2006, ho lavorato per il designer Marc Newson a Parigi. Mi sono formata nel suo studio, arricchito da una cultura internazionale, ho imparato a gestire progetti con estremo rigore e standard elevati.
Prima di fondare il mio studio nel 2019, ho collaborato per dieci anni con un designer tessile della moda. Un’esperienza importante, soprattutto per quanto riguarda i materiali morbidi, il colore e il modello.
In che modo la cultura del tuo Paese e le sue tradizioni entrano nei tuoi progetti?
Mi ritrovo più in una cultura mediterranea che in una francese, anche se sono molto legata al know-how e alla storia delle tecniche radicate nel territorio.
Credo che questa influenza mediterranea si ritrovi nei miei oggetti, attraverso la sensualità delle forme, una certa esuberanza nei colori, un gusto per il movimento, che a volte sconfina nel disordine. D’altra parte, la luce molto forte della regione mediterranea mi ispira enormemente, è una forza motrice per la creatività.
Come vedi il futuro e quali pensi saranno i nuovi trend nel design?
È complicato proiettarsi a lungo termine con l’attuale pandemia, ma è chiaro che i nuovi vincoli della vita sociale che stiamo subendo avranno ripercussioni sui nostri usi, sui nostri comportamenti e sulle nostre aspirazioni.
Penso che stiamo andando verso due sviluppi paralleli molto forti, sia la smaterializzazione delle relazioni professionali, accentuata dalle regole del distanziamento sociale, sia la rifocalizzazione sul bozzolo dell’habitat personale, che si sta arricchendo di nuove funzioni. Un ambiente scolastico, un luogo di lavoro, un palazzetto dello sport: richiedono nuove strutture e nuovi strumenti digitali.
Possiamo dire che oggi, nel 2021, stiamo vivendo un po’ come prima della rivoluzione industriale, con il ritorno del lavoro a casa, solo che è ovviamente molto connesso online.
D’altra parte, penso che il nostro bisogno fondamentale di interazione fisica, di cui siamo stati privati da oltre un anno, ci porterà a cercare più materialità, sensorialità ed etica nella scelta degli oggetti che ci circondano. In questo senso, mi sembra che l’artigianato, i prodotti fatti a mano e la produzione locale abbiano un futuro luminoso davanti a loro.
Che cosa pensi della sostenibilità oggi? Pensi che sia un elemento basilare del design oppure che sia un valore aggiunto?
Oggi viviamo in una tale emergenza climatica che la nozione di sostenibilità deve essere in primo piano nella genesi di ogni progetto.
Come tale, ha un impatto non solo sul processo di creazione, ma anche sulla scelta dei materiali, sulla selezione dei siti di produzione, sugli strumenti di fabbricazione, sui metodi di distribuzione e ovviamente sulla proiezione della riciclabilità dell’oggetto secondo le ultime tecnologie. Questo è un vincolo ineludibile, oggi non possiamo permetterci di creare oggetti ecologicamente irresponsabili, con il rischio di non poterci guardare allo specchio tra qualche anno. Lo trovo un vincolo eccitante e stimolante, una fonte di nuove risposte creative.
Quanto conta e quanto spesso è presente nei tuoi progetti l’aspetto sociale?
Considero spesso la questione sociale nei miei progetti, soprattutto perché lavoro regolarmente su problemi di ricerca di nuovi campi di applicazione delle competenze storiche, talvolta in disuso. Si tratta di una riflessione estremamente complessa, che solleva questioni reali al di là del campo del design. A volte, le questioni sociali e ambientali sono in contraddizione. Come designer, non ho il controllo su queste questioni, ma sulla scala del progetto. Possiamo proporre le scelte che riteniamo più appropriate, con scale temporali, transizioni ed evoluzioni.
Design è più emozione, più razionalità/funzionalità, oppure entrambi in egual misura?
Penso che ci troviamo alternativamente in un approccio più razionale o emotivo, a seconda delle fasi del progetto, degli interlocutori, della posta in gioco, del contesto e della ragione strategica per impegnarsi nei progetti. C’è anche la nozione dell’immagine che si vuole trasmettere attraverso l’oggetto, i valori che si portano attraverso questa creazione, il suo impatto estetico, il tipo di design che si afferma. Se si difende l’opera di un autore, è possibile che il risultato sia fortemente caratterizzato da un valore emozionale, senza che questo impedisca le proprietà d’uso dell’oggetto.
Che cosa pensi del ruolo del tessile nel design?
Il ruolo del tessile nel design mi sembra essere molto diverso, a seconda della cultura del paese e, di conseguenza, a seconda del modo in cui il design viene insegnato lì. In Francia, per esempio, il tessile e il design sono spesso in campi professionali separati. Hanno metodologie di insegnamento, culture e progetti separati. E con alcuni dei cambiamenti che stanno avvenendo nelle scuole, e anche da parte dei professionisti, i confini stanno diventando sempre più sfumati. Il che è davvero interessante. Questo è tanto più interessante perché se guardiamo al futuro del tessile, all’evoluzione delle tecnologie e dei materiali, possiamo sinceramente credere che il tessile sia uno dei materiali più innovativi per il design.
Per concludere, un aforisma o una frase che ti rappresenta…
Piuttosto una filosofia. 🙂 “L’esistenza precede l’essenza” di J.P. Sartre.
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