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Andrea Morgante intervistato da Nodus

Nodus collabora con i più famosi designer del mondo. Si tratta di creativi famosi per il loro stile e per la continua innovazione che sanno portare con le loro idee. Uno di questi artisti è Andrea Morgante. Lo abbiamo intervistato. Andiamo quindi a conoscerlo meglio, per comprendere quali sono le sue idee sul design e quali sviluppi prevede per il futuro.

Come definirebbe l’essenza o le caratteristiche primarie del suo lavoro? Ogni designer ha un suo stile, i suoi caratteri distintivi… Quali sono i suoi?
L’amore per il valore narrativo che cerco di imprimere in ogni gesto progettuale. Mi affascinano gli oggetti che in modo istintivo e graduale riescono a trascendere dalla materia e dalla forma, evocando una micro-narrativa, a volte parzialmente celata. Credo molto anche nella poeticità della forma, leggerezza e tattilità: la mano spesso accarezza gli oggetti prima ancora degli occhi.

Quali sono le persone o le storie che l’hanno maggiormente influenzata nel suo percorso lavorativo?
Ho avuto la fortuna di crescere professionalemente con Jan Kaplicky, mentore e amico, forse uno degli ultimi maestri dell’Architettura contemporanea. Da Jan ho imparato il significato dell’integrità artistica.

In che modo la cultura del suo Paese e le sue tradizioni entrano nei suoi progetti?
Credo di aver sviluppato diverse radici culturali nel tempo. L’Italia, il mio Paese, in cui sono cresciuto culturalemente, quindi Londra, in cui lavoro e risiedo dal 2000. E infine il Giappone, una storia d’amore che dura da molto tempo, sostenuta da numerose esplorazioni e viaggi. Alterno le influenze e le contaminazioni di questi Paesi e culture in ogni progetto, spesso scoprendo similitudini inaspettate o sovrapposizioni creative.

Come vede il futuro e quali pensa saranno i nuovi trend nel design?
Il futuro è legato all’innovazione tecnologica, ai processi e ai materiali. Sinceramente non mi interessa predire i trend, sono piu’ affascinato dall’individuare nuove simbiosi fra innovazione, vista come attualità, e modelli archetipi di forme e relazioni, viste come tracce progettuali svincolate dal tempo.

Che cosa pensa della sostenibilità oggi? Pensa che sia un elemento basilare del design, oppure che sia un valore aggiunto?
Credo che siamo arrivati in una fase storica in cui la progettazione contemporanea deve essere integrata alla consapevolezza ambientale, al ciclo di vita e alla riparabilità. Non è più una scelta come poteva essere dieci anni fa, né tale scelta deve essere vissuta come un valore aggiunto. Contemporaneità significa sostenibilità. Sostenibilità dei materiali ma anche del volume produttivo: mai come ora è necessario produrre meno ma meglio. C’è un bellissimo articolo di Goffredo Parise apparso sul Corriere nel 1975, in cui si elogia un ritorno alla “povertà”, vista come un rimedio necessario al consumismo sproporzionato, fondato sulla consapevolezza della qualità dei materiali e della necessità degli oggetti che acquistiamo. Parise aveva forse previsto un atteggiamento minimalista prima ancora che il termine fosse coniato.

Quanto conta e quanto spesso è presente nei suoi progetti l’aspetto sociale?
La progettazione e l’esecuzione di un’architettura o oggetto comporta inevitabilmente un impatto e risonanza sociale. È un’enorme responsabilità, una sfida nel trovare il punto di equilibrio fra utilità e beneficio sociale, senza eccedere in parabole narcisistiche.

Design è più emozione, più razionalità/funzionalità, oppure entrambi in egual misura?
Il design dovrebbe essere sempre funzionale, per definizione, e se non riesce a stabilire un rapporto emozionale non è piu’ design, a prescindere dall’assolvere alla funzione richiesta. L’emozione è l’elisir che garantisce a un oggetto di sopravvivere nel tempo e nella memoria.

Che cosa pensa del ruolo del tessile nel design?
Penso e progetto sempre in modo tridimensionale. Il tessile per me è una bellissima sfida nel trasmettere l’aspetto triedimensionale attraverso la monodimensionalità della materia tessile. Nel mio tappeto per Nodus, ho cercato l’assenza di dimensione, ispirandomi alla teoria fisica-filosofica di Leibnitz, cioè delle sue particelle che compongono la materia, una metafora dei nodi che compongono la trama del tappeto stesso.

Per concludere, un aforisma o una frase che la rappresenta.
Quello che sono è quello che ho fatto. Quello che sarò è quello che faccio ora.

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marco

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