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Marco Carini intervistato da Nodus

Nodus collabora con i più famosi designer del mondo. Si tratta di creativi famosi per il loro stile e per la continua innovazione che sanno portare con le loro idee. Uno di questi artisti è Marco Carini. Lo abbiamo intervistato. Andiamo quindi a conoscerlo meglio, per comprendere quali sono le sue idee sul design e quali sviluppi prevede per il futuro.

Come definiresti l’essenza o le caratteristiche primarie del tuo lavoro? Ogni designer ha un suo stile, dei suoi caratteri distintivi… quali sono i tuoi?
Talvolta faccio il designer, ma non mi ritengo un vero designer. Credo nel gesto spontaneo, nell’intuizione, nell’osservazione costante e ammirata della natura, per me fonte inesauribile di ispirazione.

Quali sono le persone o le storie che ti hanno più influenzato nel tuo percorso lavorativo?
Senz’altro Carlo Scarpa, per la passione e l’approccio al progetto, Mies Van der Rohe per la ricerca costante dell’essenza, Mark Rothko per la visione della vita, attraverso un’apparente semplice composizione di colori, la poesia in generale, in un mondo troppo prosaico, la capacità di vedere e interpretare il senso della vita, a occhi chiusi , come in “Cattedrale” di Raymond Carver.

In che modo l’aspetto culturale legato al tuo paese e alle sue tradizioni entra nei progetti?
Se le mie ispirazioni sono quasi sempre orientaleggianti, il modo di interpretarle, la spontaneità, sono caratteristiche più latine, e credo negli opposti, perché possono diventare una miscela magica.

Come vedi il futuro e quali pensi saranno i nuovi trend nel design?
Personalmente non credo nei trend, ma nel percorso di progetto trasversale, capace di attraversare il tempo, talvolta senza essere coincidente, ma sempre attuale. Penso però che la natura debba diventare ingrediente fondamentale, con un atteggiamento etico, capace di non far prevalere il proprio ego, ma la capacità di mostrare, di mostrarsi, senza fare danno.

Che cosa pensi della sostenibilità oggi? Pensi che sia un elemento basilare del design o che sia un valore aggiunto?
Credo che sia basilare. Punto di partenza, imprescindibile, di ogni progetto. Quando riusciremo a produrre design senza inquinare, senza consumare natura, utilizzando solo prodotti di risulta da filiere naturali, forse saremo in un mondo popolato da gente illuminata. John Lennon cantava: “You may say i’m a dreamer, but i’m not the only one”. Confido in un futuro che nei fatti dimostri le tante parole già spese in merito da tanti.

Quanto conta e quanto spesso è presente nei tuoi progetti l’aspetto sociale?
È uno degli ingredienti fondamentali. Sapere che parte dei proventi di un pezzo di design viene usato per costruire scuole, spazi di cultura, laddove ce n’è più bisogno, è stato l’elemento che mi ha fatto innamorare del progetto Nodus. In generale, l’aspetto sociale, per tutte le attività che svolgo, è l’aspetto su cui si fonda la mia attività.

Il design è più emozione, più razionalità/funzionalità, oppure non c’è prevalenza tra uno dei due aspetti?
È una formula matematica recitata in versi. È il mestiere applicato alle intuizioni, è la costanza miscelata al talento. È certamente per me “la forma che segue la funzione”, ma non solo. Talvolta è una delle due componenti che insegue l’altra. È la magia di un incontro.

Che cosa pensi del ruolo del tessile nel design?
Sono sempre stato un ammiratore di Joseph e Anni Albers. Il tessile è affascinante perché il prodotto nasce dall’intreccio. L’intreccio è sinonimo di unione, di relazione, di scambio. Credo perciò che sia importante, fondamentale.

Per concludere, un aforisma o una frase che ti rappresenta.
Un motto, serio, di Mies: “I don’t want to be interesting, I want to be good”. E poi una poesia delicata e dissacrante di Stefano Benni: “La giraffa ha il cuor lontano dai pensieri. Si è innamorata ieri e ancora non lo sa”.

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marco

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